Pagine

venerdì 4 marzo 2016

Scuola = amore

E niente, insegnare toglie energie e tempo. Perfino il tempo di questo post lo sto rubando al lavoro.

Lavoro? Ma se oggi è il tuo giorno libero!
Ma se gli insegnanti hanno un saaaaacco di tempo libero, ogni giorno, dopo l'uscita dalla scuola!

[emette bestemmie soffocate a mezza bocca mentre cerca di tornare in sé]

No cari, sfatiamo per l'ennesima volta questo mito del prof che si gratta la pancia quando torna a casa.

In primis, per 5 giorni alla settimana devo svegliarmi alle 5.50 per raggiungere la mia scuola in tempo (altro Comune - solo mezzi pubblici). Poi devo farmi un'altra ora e mezza per tornare a casa e pranzare alle 15. Già con questo il mio "tempo libero" si riduce (devo andare a letto prima e/o recuperare il sonno il pomeriggio).

Vabbé cazzi tuoi, mica tutti i prof sono così, certi abitano a due passi dalla scuola!

Corretto. Incasso e porto a casa. Ma c'è dell'altro.
Seguo 5 classi: 4 solo per geografia e una invece con tutte le materie letterarie. Materie che nello specifico sono:
- grammatica
- italiano antologia
- italiano "epica"
- storia
- geografia.

Per ciascuna di queste ore bisogna fare almeno 2 verifiche a studente. I miei studenti sono in totale un centinaio. Moltiplicateli per il numero di verifiche.

Si, ma queste verifiche che fai tu sono solo interrogazioni! Non contano nelle ore a casa!

E qui ti sbagli. Perché oltre alle interrogazioni io chiedo:
- temi
- racconti
- recensioni di libri/film
- ricerche
- resoconti delle uscite didattiche

... tutte rigorosamente corrette a casa.

E c'è di più. Avete presente quello che dico a scuola (le "spiegazioni")? Gli argomenti (e le risposte in caso di possibili domande sui suddetti), le fotocopie, le domande dei compiti in classe?
Tutto preparato a casa, scritto da me.

Verifiche differenziate per alunni con DSA e BES? Seeeeempre a casa.

Ma il bello di tutto questo é che non solo non me ne lamento... anzi: mi piace, e ci godo. Tutta questa indigestione di lavoro é come il sushi all you can eat: ti sembra di esserti riempito, ma scopri di avere uno spazietto ancora non sfruttato in quell'angolo dello stomaco... fai un ruttino e voilà, puoi ordinare altro uramaki. E soprattutto, il giorno dopo ci vuoi tornare anche se ti sei sfondato come un maiale.
(Si, ultimamente sono diventato fan del sushi. Non affronto l'argomento se no ne esce fuori un romanzo)

Quindi che dire? Spero che continui così: le prospettive non sono rosee per quanto riguarda l'insegnamento in Italia, ma intanto voglio continuare a dare il massimo fino alla fine dell'anno scolastico. Poi ne parleremo.

Intanto, scusate, ma vado a comprare il manuale per prepararmi al concorso. Gli esami non finiscono mai, soprattutto per chi li prepara ogni giorno. Che delizioso contrappasso.

Alla prossima
Grillo Sognatore

P.S. ah si, dimenticavo: nel frattempo mi sono sposato. Cose che succedono, se non ti stai attento.

mercoledì 3 dicembre 2014

"Quel che accade è una grande novità..."

Occhiali nuovi (un po' quadrati tipo hipster che fanno figo), look nel complesso peggiorato (faccia smagrita, pancetta che avanza, capelli che crescono senza ordine logico e fronte che continua ad ampliarsi a mo' di portaerei), sono cambiate un po' di cose negli ultimi mesi.

Più a livello mentale che da un punto di vista materiale, certo: ho studiato molto. Ho lasciato perdere tante cose che erano importanti, prima, e che viste adesso mi sembrano stupidaggini (tipo, le mille routine quotidiane che avevo in casa, che scandivano la mia giornata, che mi sembrava un delitto scardinare); altre, che lo erano davvero, sono pure state messe da parte, con tristezza (tipo i miei amici).

Di altre ho fatto la conoscenza: abilità che non credevo di avere, fisiche (come il riuscire a fare trazioni e flessioni ed altri esercizi con muscoli che non usavo forse dalle elementari) e intellettuali (come il riuscire a imparare tutta la storia europea dal 10.000 a.C a oggi); anche, addirittura, qualcosina di tecnico (un po' di CGI con After Effects, Blender e compagnia bella).

Ho pensato molto, ultimamente. Voi direte: che novità. Da un lato è vero: non faccio altro che pensare da qualche anno a questa parte. Ma pensato davvero al mio futuro, nel senso: a che persona voglio essere fra 10 anni, a dove voglio arrivare. Arrivare in sé è una parola grossa, mi accontenterei di muovermi verso quella direzione, ma comunque un obiettivo è tale se, almeno nella tua testa, è un punto fermo. Quindi va bene "arrivare". Ho preso delle decisioni, riguardo il mio corpo (basta vita sedentaria e cibo a caso, benvenuta palestra e dieta equilibrata) e riguardo la mia carriera di scrittore ed insegnante.

Ho dato l'anima per le prove di ammissione di questo TFA. Se sia servito a qualcosa non so, l'ho fatto perché credo ancora un pochino nel "sistema", ho ancora fiducia nelle istituzioni dello Stato e credo che se c'è una strada "legale" da percorrere, se uno si impegna riesce a percorrerla fino in fondo. Le prove le ho passate, adesso aspettiamo di vedere le graduatorie e poi chissà. Pagherò quei 2500 euro per avere il diritto di formarmi e diventare un buon insegnante. è ingiusto ma lo farò, perché voglio giocare secondo le regole.

Qualche giorno fa ho fatto la mia prima supplenza in assoluto, per due giorni, è stato devastante e meraviglioso. Mi sono sentito un bambino al luna park, era tutto come lo sognavo, cioè un porcile pieno di alcuni diamanti da pulire e portare alla luce: un mondo difficile, duro, con pochi risultati raramente duraturi, eppure in due giorni sono riuscito a farmi applaudire da una classe e ricevere quello che chiamerei "il" complimento da fare ad un insegnante (specialmente supplente): <<Prof, ma perché non resta con noi sempre?>>.

Stavolta non ho potuto. Ho preso la mia cartellina piena di libri inutili (portata per fare scena, perché se no come mi presentavo?) e sono andato via.

Stavolta.

Alla prossima
Grillo Sognatore

mercoledì 10 settembre 2014

Appartenenza

Qualche giorno fa mi sono stupito di una constatazione molto semplice (del resto, solo le cose molto semplici sono capaci di stupirci: quasi che non ci rendessimo conto della fragile barriera che ci separava da loro).

Stavo lavorando in campagna con mio zio, potavamo gli ulivi. Ad un certo punto ero abbastanza alienato da quello che stavo facendo da permettere alla mia mente di vagare qua e là in percorsi casuali. Mi è venuta in mente una canzone, ma io stesso non la riconoscevo; sono andato avanti a fischiettarla tutta la mattina e mi andava bene così, non ci stavo a pensare troppo.

Poi, mentre stavo scaricando una fascina di rami potati nel mucchio che di lì a poco avremmo bruciato, mi è venuto da ripercorrere la storia di questa canzone, o per essere più precisi la storia di come l'avevo conosciuta, odiata e poi apprezzata.

In breve: una certa persona me l'aveva fatta ascoltare; lì per lì non mi aveva fatto impazzire, ma mi piaciucchiava. Poi ho avuto delle divergenze con questa persona, e il fatto che la canticchiasse abbastanza spesso mi aveva fatto venire in odio la canzone. Per alcuni anni, ogni volta che la sentivo accennare o che ne sentivo parlare (è di un pezzo storico del rock, per cui ogni tanto vuoi o non vuoi lo senti da qualche parte) la associavo alla persona e tac! Partiva il riflusso gastrico.

Poi un giorno, senza sapere niente di tutta questa storia, la mia ragazza la fischietta mentre siamo insieme. Istintivamente mi viene da raccontarle la storia. Lei, sapientemente, fa l'unica cosa sensata: ci ride su, scuote la testa e sbuffa.
Ebbene, in quel momento non lo sapevo ancora, ma con quella risata lei aveva "liberato" la canzone dalle influenze passate, l'aveva fatta più sua ai miei occhi, e da allora non ho più problemi a cantarla, fischiettarla, eccetera.

Di tutto questo mi sono reso conto posando la fascina di rami d'ulivo. Una piccola epifania che mi ha fatto riflettere sul concetto di appartenenza: cioé, molto spesso si insiste sull'appartenenza del singolo a qualcosa come un gruppo religioso, un'etnia, una cultura eccetera. Tutte cose molto vere, certo. Però in ultima analisi sono teorie che fanno sembrare gli oggetti (anche immateriali come una canzone) come qualcosa che interagisce con noi solo in quanto parte di un sistema ampio, per esempio "il rock degli anni '80" o "canzoni dedicate a eventi storici", e che quindi ci interessano in quanto tali (portatori di informazioni, direbbero i teorici). Ma non dobbiamo dimenticarci che le cose, a un livello più piccolo, quotidiano, appartengono innanzitutto a noi e alle persone che ci circondano, e si caricano di affetto, repulsione, diffidenza, interesse, nella stessa misura di quelli a cui appartengono. Così quel paio di ciabatte in più che tieni in casa è il simbolo di una promessa di ritorno, di ritrovi mattutini, di colazioni e sbadigli con qualcuno a cui tieni e che speri di rivedere più spesso possibile; e una canzone che prima odiavi ti rallegra la giornata perché quella persona la fischietta, perché appartiene a lei, e con lei appartiene alle cose belle a cui non vuoi più rinunciare.

Alla prossima
Grillo Sognatore

sabato 5 luglio 2014

Appunto personale

Non ho mai preteso di poter scegliere tra dilettare e insegnare: l’unico vero insegnamento che si può trarre dalla vita è quello nel divertimento. Non impariamo mai quando siamo costretti, ma solo quando proviamo amore, passione, per un’idea, fatto o atto che (prescindendo dai motivi) ci interessa.
Tutto il resto si perde nel colabrodo della ragione o della vita pratica: ma in definitiva quello che tratteniamo ci serve o ci interessa. E quello che usiamo perchè costretti siamo lieti di scaricarcelo dal groppone prima o poi - meglio prima che poi -; mentre ciò che per un guizzo di genialità, o naturale inclinazione, o vissuto personale, o per nessun motivo razionalmente spiegabile, ci attrae, ecco, quello rimane nella nostra testa; si intrufola nei nostri pensieri, senza accorgercene ci influenza, ci fa citare questo o quell’altro (ce lo fa cioè riconoscere come maestro), entra a far parte della nostra vita.

Il dilemma tra autore che diverte e autore che insegna non esiste: esistono autori che sanno insegnare bene e autori che invece sono pessimi insegnanti. Il resto sono chiacchiere da caffé letterario, statistiche di vendita e accumuli di recensioni, che presto o tardi finiscono nel macero. Quello che si salva è il sussurro che rimane nella testa di chi legge dopo qualche anno, dopo decenni, dopo una vita, e che si prova a trasmettere a figli e nipoti dando loro in pasto la propria biblioteca, nell’età in cui, affamati di vita, sono in cerca di insegnanti anche se non lo vogliono. Questo - il circolo virtuoso della buona letteratura - andrebbe coltivato, nei fatti prima che negli scritti; e poi fatto filtrare in quello che uno dà alle stampe, che - si spera - dovrebbe contenere il meglio di sé.

Alla prossima
Grillo Sognatore

venerdì 27 giugno 2014

Ghost track

Tutte le storie meritano di cominciare così, nascoste, un tesoro da scoprire.

Una traccia nascosta che bisogna impegnarsi a trovare, per gustare almeno in parte la fatica dello scrittore.

Vorrei che non ci fosse bisogno di venire allo scoperto, che siano i lettori ad andare a caccia della loro prossima storia, che fiutassero le piste disseminate qua e là dagli autori.

Vorrei che ci fosse passione nel cercare la propria storia. A me succede spesso, quasi sempre, soprattutto quando ne ho appena finita una. Soprattutto se è stata particolarmente bella. Mi sento una tigre che ha appena finito di gustare la sua ultima preda, il muso ancora sporco di sangue, l’olfatto acuto come non mai, i baffi tesi a captare nell’aria il movimento della prossima gazzella.

Tutte le storie hanno il diritto di sentirsi cercate così, bramate, desiderate come la donna che non hai ancora incontrato e già ti eccita, ti stuzzica le voglie, ti rende famelico.

In fondo, tutti noi siamo affamati di storie. Solo che di solito siamo circondati da maître e sommelier ansiosi di farci assaggiare le loro ultime delizie, i loro manicaretti più prelibati, serviti con contorni fantasiosi e sgargianti. Un tripudio di salse, aromi, croste, brodi, stuzzichini, che accompagnano anche il più scialbo bollito o l’arrosto più scadente. Suonano alla nostra porta, ci chiamano al balcone, tirano sassolini alle finestre orde di cuochi che ci aspettano sotto casa per infilarci cucchiaiate di questo e forchettate di quello, che ci aprono la bocca a forza anche siamo già sazi, ci sfiniscono con una sfilza di portate una più grandiosa dell’altra. Tanto che il nostro istinto animale si sta, poco a poco, placando, anestetizzato dall’abbondanza e dalla prodigalità dei nostri carcerieri. L’homo lector è sempre più una specie addomesticata e sempre meno la belva assetata d’inchiostro che per natura è portata ad essere.

Io ho bisogno di storie nascoste e lettori capaci di stanarle, che non sappiano in anticipo cosa troveranno quando aprono il mio libro, che non sappiano nemmeno chi sono io prima di leggerlo. Non ho bisogno di attenzione, di pubblicità, ma di desiderio e paura.
Anche il predatore più temibile sente la paura, nello specifico una paura in particolare: quella che la propria preda scappi via, quella di restare a bocca asciutta, o peggio, quella di restare deluso dal sapore della preda tanto attentamente cacciata. E la preda lo sa, si nega e si concede, si lascia avvicinare e poi scarta di lato, fa crescere nel cacciatore l’acquolina e quello, senza saperlo, si trova a sognare sempre più il sapore fresco delle carni appena addentate, la morbidezza del pelo che sfugge tra i denti, la cartilagine tenera da spezzare.

Così vorrei giocare io con i lettori. Così vorrei lasciarmi prendere un po’ alla volta, senza fretta, tenendoli sulla corda, ammanettandoli al letto, sussurrando loro parole piccanti senza dare nemmeno l’ombra di una soddisfazione. Tenerli in balia del loro più grande terrore, quello della delusione. E poi, finalmente, lasciare che diano un morso succoso al centro della materia, che si inebrino del nettare del discorso, che restino appagati, sfiniti, come ubriachi per la prima volta.

19 giugno 2014

Alla prossima
Grillo Sognatore

giovedì 19 giugno 2014

Un centro di gravità

Ogni tanto torno a questo blog, a questo punto che mi attrae, periodicamente, come un appuntamento con me stesso.
Non è che abbia qualcosa di speciale: è che piuttosto è diventato, con il passare degli anni, un'isola in cui, in dieci minuti, mi lascio andare a pensieri di varia natura.
Un pezzo della mia umanità, insomma.
Per un po' ho cercato di controllarlo, di imbrigliarlo, di categorizzarlo, di inserirlo in un progetto più ampio, ma da qualche mese a questa parte sto accettando il fatto che forse è giusto che vada alla deriva, che continui nella sua direzione erratica e casuale, trascinato dalle vicende della mia vita, dalle mie evoluzioni mentali, culturali, affettive.

Un pezzo di me in qualche modo più autentico rispetto alle cose che scrivo "perché devo", o perché sottoposte al controllo periodico del tempo. Un centro di gravità, sicuramente, forse non permanente ma di sicuro abbastanza duraturo da farmi sentire a "casa".

Alla prossima
Grillo Sognatore

mercoledì 30 aprile 2014

In trappola

[N.b. Questo post non ha un gran filo logico. Va letto come un puro sfogo, una pagina di diario in senso stretto. Ogni tanto fa bene anche andare a briglie sciolte]

Se c'è una sensazione che non ho mai sopportato, è quella di sentirsi in trappola.
La trovo più fastidiosa, più insidiosa e dolorosa della paura, dell'angoscia, della tristezza.

Poi arriva un momento in cui ti senti così inutile, ma così inutile, che ti metti a fare la cosa più inutile di tutte: scrivere. E allora d'improvviso ti sembra di stare risolvendo il problema più difficile del mondo, quello della mancanza di senso. Quindi continui a scrivere, e continui ad oltranza; ad un certo punto ti sembra di stare dicendo troppo, ma tu continui lo stesso, quasi pressato da un'urgenza di trovare il fondo del discorso che stai facendo, sapendo bene che il fondo non c'è, che puoi continuare a scavare all'infinito, e quando sarai stanco di spalare gratterai il terreno con le mani, e quando anche le mani saranno stanche lo scaverai con gli occhi e con l'immaginazione, immaginando di andare più a fondo, di scoprire cosa c'è ancora.
Arrivi ad un punto in cui ti sembra che stiano per finire le parole, ma quelle continuano ad arrivare senza sosta, frase dopo frase e paragrafo dopo paragrafo. Poi, quando sei stanco, esausto, quasi avessi fatto una lunga marcia nel deserto, posi la penna, senza smettere di pensare a quello che avresti voluto dire ancora. Ti prendi una necessaria pausa, con la paura in sottofondo di non riuscire più a riprendere. Come se da quel lavoro, da quello scrivere, dipendessero le sorti del mondo, o perlomeno le tue.

Questa è una parte del piacere della scrittura: rinascere dalla disperazione.

Alla prossima
Grillo Sognatore